19/11/2014 Editoriale

20 novembre: responsabilità, una parola da riscoprire

Se una persona va a cercare su Wikipedia il significato della parola “responsabilità”, si imbatte in un concetto che purtroppo viene raramente citato sia nei talk show politici, sia nei confronti pubblici o nelle discussioni. E cioè l’idea che ogni nostra azione abbia delle conseguenze. Esattamente come ricordano alcune leggi della fisica. Se noi agiamo in un certo modo produrremo determinati effetti, diversi da quelli ottenuti con un’azione alternativa.

Si può scegliere. Andare di qua o andare di là. Stare zitti o parlare per cambiare lo stato delle cose. Fare o non fare. Pensare solo a sé o far correre l’occhio intorno a sé.
In questi giorni in cui si ricorda il 20 novembre di 25 anni fa, quando a New York l’Assemblea delle Nazioni unite approvò la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, mi cresce dentro un misto di indignazione e di voglia di chiedere conto proprio alla politica quali scelte o non scelte sono state fatte per arrivare a una situazione di disastro sociale così profonda, in particolare per quanto riguarda la vita dei nostri figli e nipoti. L’Istat ci dice che in due anni i minorenni che vivono in povertà assoluta sono raddoppiati: da 700mila a un milione e 400mila. La prova evidente del fallimento delle politiche sociali, laddove queste ci siano veramente state e non solo annunciate.

Perciò vorrei incontrare in una conferenza virtuale tutti i Capi di governo che si sono succeduti in questi ultimi 20 anni, di sinistra come di destra, con sogni magniloquenti e finte promesse di posti di lavoro, benessere o altro.

Il 20 novembre è la Giornata internazionale dell’infanzia e dell’adolescenza, in memoria proprio di quella firma importante della Convenzione, sottoscritta dal governo italiano nel 1991. Domandiamoci quanti diritti siamo riusciti a garantire ai più giovani e soprattutto a quanti minorenni.

Spero anche che l’attuale Governo prenda in considerazione interventi concreti e immediati; in queste ore, ad esempio, si è parlato di modificare il bonus bebè a favore dei minorenni in condizione di povertà assoluta. Altri interventi possono e debbono essere fatti quanto prima.  

Dentro alla scelta, e dunque dentro alla libertà riconosciuta, c’è per l’appunto la responsabilità, cioè «la previsione delle conseguenze del proprio comportamento per correggere lo stesso sulla base di tale previsione», come ci ricorda Wikipedia.

La responsabilità può far cambiare il corso delle cose. Può determinare meraviglie o sfaceli. E non c’è solo la responsabilità di chi ci governa. Sono tante e diffuse le responsabilità. Quali saranno le conseguenze delle scelte che il Governo sta ultimando con la Legge di stabilità? Questa è responsabilità: politica.  Cosa passano i genitori ai figli con il loro esempio, il proprio credo, le parole pronunciate magari con distrazione commentando una notizia del tg, e soprattutto cosa producono con le scelte e gli sforzi che fanno per crescere i loro figli? Ecco un’altra responsabilità: genitoriale. Cosa fa lo Stato per sostenere chi ha meno, chi soffre il disagio, chi non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena? Responsabilità politico-sociale. E si ha coscienza di cosa produce l’indifferenza e il cinismo, lo starsene arroccati nel proprio (precario) benessere? Responsabilità civile. E se violiamo un dovere morale, non stiamo forse ignorando la responsabilità morale che tutti noi abbiamo?

Questi pensieri mi attraversano la mente da alcune settimane, forse perché sento pressante per le famiglie, i giovani, tutti noi il bisogno di un reale cambiamento, ma nei fatti. L’Italia necessita di un nuovo profondo senso di «responsabilità», evitando alibi e slogan, mettendo da parte giuste amarezze o attese di aiuto vane.

Basterebbe già ricordarsi di fare bene il proprio lavoro, quando si è su una cattedra davanti a venti alunni come quando si mette in sicurezza l’argine di un fiume, quando si vince un appalto per un’opera pubblica come quando si produce e si vende, quando si investe o quando si è sul punto di chiudere un’attività generando povertà nelle famiglie dei dipendenti. Sarebbe già un passo avanti ritrovare l’attenzione per le conseguenze dell’agire e casomai correggersi, come ci ricorda la definizione.

Questa Authority non fa che lavorare sul concetto di responsabilità, cercando di individuare buone pratiche e di metterle a sistema, coinvolgendo soggetti diversi, sensibilizzando i più giovani come gli adulti, diffondendo una cultura del fare per il bene comune.

Chi sta al vertice della catena delle decisioni ha il compito di occuparsi del bene pubblico. I dati odierni sulla povertà ci dicono due cose: che l’attuale povertà diffusa è specchio del declino generale del Paese e del fallimento delle politiche sociali; la seconda cosa riguarda la famosa parola “responsabilità” poco frequentata in questi ultimi 20 anni, spesso per favorire interessi privati.

Ora non c’è più tempo per ignorarla. Ritorniamo ad essere responsabili. Responsabili.

Vincenzo Spadafora

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