03/10/2015 Editoriale

DISCRIMINAZIONI. TEMPO SCADUTO

Quasi quasi mi demoralizza ritrovarmi a parlare di discriminazioni. Quasi quasi me ne vergogno come cittadino di un paese, che da sempre è stato il crocevia di culture, popoli e religioni. E invece, eccomi qua, ottobre 2015, a dover di nuovo ricordare che chiunque discrimina deve solo vergognarsi di farlo. Non c’è più margine di mediazione sul tema della discriminazione. Punto. Si accomodi altrove chi usa gli istinti più bassi a fini elettorali e politici, difendendo il presunto “comune senso del pudore” o l’italianità pura.

Che si tratti di italiani o stranieri, di bianchi o neri, di etero o omosessuali, di meridionali o veneti, di grassi o magri, di cattolici o musulmani (ognuno ha i suoi “razzismi”), il tempo è abbondantemente scaduto per dire chi è buono e chi è cattivo, chi ha titolo per parlare e chi per essere messo all’indice. Chi ci piace e dunque viene accettato e chi invece vogliamo rigettare fuori: non siamo su Facebook, non c’è nessun ‘clic’ da fare sul «Mi piace». Siamo nella realtà, che l’altro giorno a Monza ci ha “regalato” l’ennesimo caso di cronaca di un ragazzo gay finito nel mirino di “benpensanti”. Il preside rilascia interviste nelle quali parla in questi termini dell’omosessualità del ragazzo: «Quella cosa là», «dovevamo affrontare il problema…», «…volevamo chiudere la questione». 

Come Authority stiamo indagando presso tutte le fonti possibili (famiglia, forze dell’ordine, scuola, professori, servizi sociali) per capire esattamente come siano andate le cose, ma ci è già chiaro un pensiero: ancora una volta l’orientamento sessuale è causa di discriminazione.

La questione su “quella cosa là” non doveva essere chiusa ma aperta, affrontando un discorso con la classe e il corpo docente. Non è un «problema» la scelta individuale di quale persona amare. Ce lo ricordiamo? Pare che la madre abbia chiesto più volte nei mesi scorsi un incontro col direttore dell’istituto. Perché la famiglia non nascondeva sotto la sabbia «il problema», proprio perché non lo riteneva tale e parlando con il figlio aveva deciso di “condividere” rompendo il muro del silenzio; quella mamma non ha voluto rimanere sola, ha accettato le scelte del figlio e ha reso partecipi professori e servizi sociali: un percorso virtuoso di chi non nasconde ciò che non è da nascondere.

Come ho detto prima, stiamo capendo gli estremi di questo caso. E come ho detto all’inizio, è ridicolo, deprimente e vergognoso che nel 2015 ci si trovi a dover ancora parlare di questo.

Vincenzo Spadafora

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