I migranti e noi
Ecco, mentre sto scrivendo il numero è già cambiato. Il numero di chi sbarca sulle nostre coste, portato dal vento della disperazione, da una delle tante carrette del mare che qualcuno, con imprudenza, ha chiamato "i barconi della speranza". Ma la speranza va sostenuta, tradotta in realtà, se no perché chiamarla così e non abbaglio, utopia, mistificazione, sfruttamento?
Il numero dicevo, ma invece dovrei parlare al plurale perché tante sono le cifre che si rincorrono aggiornandosi e offrendo il bollettino dei morti e delle inadempienze, delle promesse non mantenute e dei mancati impegni. Solo pochi giorni fa, c'erano venti neonati fra i migranti arrivati in provincia di Ragusa. Ad Augusta, la triste contabilità parlava di 260 under 18 su un migliaio di migranti. Da gennaio ad oggi sono arrivate 25mila persona in Italia, un numero che è equivalente alla metà di quello che si registrò nel periodo dell'emergenza nord Africa, nel 2011.
In questi giorni ”Mare nostrum” è al centro del dibattito politico usato come prezioso argomento per la campagna cercavoti delle elezioni europee del 25 maggio e perché tutti sanno che con la bella stagione l’emergenza sarà normalità, gli sbarchi saranno continui e il sistema d’accoglienza non potrà, con queste risorse e forze, reggere l’onda d’urto delle migliaia di persone che arriveranno sulle nostre coste.
Sono stato sia a Lampedusa sia ad Augusta negli ultimi mesi e, vedendo quanto la situazione stesse precipitando, ho denunciato un'emergenza che riguarda tutti noi.
Ci sono centinaia di operatori impegnati nell’accoglienza, c’è la generosità di certi sindaci e di molte strutture, ma non si può sempre contare sull’impegno dei singoli. Occorre individuare quanto prima un “sistema d’accoglienza” a tutto tondo, con percorsi, fondi a disposizione, responsabilità, strutture. Il tutto per garantire i diritti sanciti dalla Convenzione del 1989. Una questione che chiama in causa tutti i Paesi: Europa dei diritti, dove sei?
In molti, dai pediatri alle organizzazioni sanitarie, hanno lanciato grida allarmate. La condizione dei luoghi dove vengono ospitati (scuole, capannoni, centri improvvisati sull’onda dell’emergenza) non garantiscono i diritti basilari. I ragazzi vivono in condizioni limite. E fuggono, spariscono senza lasciare traccia. Che ne è di loro? In che giri finiscono?
Se solo si avesse la consapevolezza della complessità dei bisogni. Se solo ci si misurasse con la paura, la diffidenza, il dolore provato di chi ha meno di 18 anni. Se solo si capisse che ogni storia è una storia a sé, perché c’è chi arriva da un Paese in guerra, chi dalla povertà, chi dalla violenza, chi spinto dal sogno di una vita migliore per sé ma soprattutto per i propri famigliari… Se insomma ci si fermasse e si affrontasse il problema in profondità, con una visione di medio-lungo termine, si eviterebbero meste campagne politiche e spettacolarizzazioni delle sofferenze altrui.
Di certo, noi come Autorità garante dell’infanzia e dell’adolescenza non abbasseremo la guardia. Anzi, continueremo a chiedere. A lavorare. Ad andare sui luoghi degli sbarchi. Ad ascoltare mamme, bambini, ragazzi, operatori, istituzioni locali e nazionali. E a fare tutto il possibile, senza arrenderci a strumentalizzazioni politiche.
Vincenzo Spadafora