Il giudice per le relazioni
I bambini vivono in un mondo fatto di relazioni. E i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza hanno essi stessi natura relazionale. Garantire questi diritti significa dunque garantire relazioni buone, funzionali, funzionanti. Perché esse possano essere tali, però, devono ricorrere due condizioni. La prima è la libertà. Se in una relazione c’è sopraffazione, le persone non crescono, ma diventano dipendenti, se non vittime. La seconda condizione è la responsabilità. E l’attuazione dei diritti di bambini e ragazzi chiama in causa proprio la responsabilità degli adulti.
Garantire i diritti significa quindi garantire relazioni “buone”.
Ma come far sì che il giudice che si occupa di minorenni compia un intervento non solo “sulla” relazione ma anche “per” la relazione promuovendo processi di cambiamento nelle persone e una loro adesione libera e responsabile a progetti di vita e di relazione? Senza ricorrere a modalità impositive, incentivando un’adesione autentica, creando un clima di fiducia e esercitando la sua credibile autorevolezza.
E che genere di minorenni si trova davanti il magistrato? Quali sono i loro bisogni?
La realtà può apparire frutto di un paradosso: alla profonda consapevolezza della dimensione relazionale delle persone si accompagna uno spiccato individualismo. Assistiamo a una disgregazione delle relazioni sociali, a tutti i livelli.
I bambini e i ragazzi vivono un momento difficile. Per comprendere la loro realtà c’è uno strumento fondamentale: l’ascolto. E l’ascolto delle loro esigenze, dei loro sogni, delle loro paure, dei loro desideri è un diritto sancito dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
L’ascolto dei minorenni è una delle attività cui l’Autorità ha inteso dare la massima importanza e che ogni adulto – anche solo come atto di responsabilità – dovrebbe praticare. A maggior ragione quando è chiamato a far sì che i diritti siano attuati nel caso concreto.
La sfida complessa è far sì che il giudice che si occupa di minori e famiglia non sia solo un giudice “delle” relazioni, che fotografa le situazioni e le cristallizza in provvedimenti, ma un giudice “per” le relazioni, che, attraverso i suoi strumenti, promuove processi di cambiamento capaci di creare delle “relazioni buone”, terreno fertile per una crescita serena di bambini e ragazzi e dell’intera comunità.
Filomena Albano