09/09/2014 Editoriale

Il vero nemico? La cultura dell’illegalità

Davide avrebbe compiuto 17 anni fra pochi giorni, il 29 settembre. Il carabiniere che ha sparato è un giovane di 32 anni. E in mezzo, intorno ai due protagonisti di un episodio di cronaca difficilmente dimenticabile c'è Napoli, rione Traiano, periferia occidentale di questa città bella e ferita, forte e dannata, sulla quale è facile infierire, ma dove è anche pericoloso vivere, è molto difficile crescere avendo garantiti i diritti essenziali: educazione, un dignitoso livello di sussistenza, salute, sport, rapporti civili.

La morte di Davide provoca, anche in chi come me non lo conosceva, un dolore profondo, la rabbia per una vita spezzata, la compassione per una madre che non potrà più abbracciare suo figlio. Davanti a tutto ciò serve silenzio e rispetto nella certezza che chiarezza sarà fatta e che la giustizia accerterà le eventuali responsabilità del carabiniere.  

Eppure, per chi rappresenta le Istituzioni del Paese esiste l'obbligo, il dovere, di aggiungere qualcosa, anche con il rischio di apparire impopolare, qualche considerazione che nulla toglie al dolore e alla drammaticità di quanto è accaduto. Se lo si guarda da vicino, questo caso è emblematico di un'Italia che si è persa, che ha perso se stessa perché non ha più valori da condividere. Napoli come la lente d'ingrandimento di un Paese abbandonato a se stesso. I tre ragazzi, che alle 2 e 40 di notte viaggiavano per le strade del rione, non avevano casco, né assicurazione, né patentino ed erano in tre su un motorino. Non si sono fermati all'alt chiesto dai carabinieri che ritenevano di aver individuato tra loro un latitante. Di qua tre giovani cittadini, di là le forze dell'ordine. Forze dell'ordine impegnate a far rispettare le regole, a tutelare i cittadini di quel quartiere. E lo hanno fatto anche nel momento in cui si sono trovati di fronte tre ragazzi che stavano infrangendo la legge. Ripeto, tutto questo non giustifica in nessun modo la tragica fine di Davide, ma la morale di questo evento non può essere la frase ripetuta in queste ore dal fratello: “Lo Stato non ci tutela; a noi ci tutela la camorra”. Questo messaggio è pericoloso e inaccettabile perché alimenta il non rispetto delle regole, perché indica una strada da non seguire, perché acclara la convinzione che sia più semplice usare la “scorciatoia” dell’illegalità per ottenere ciò che si vuole.

Quei due carabinieri erano in quel quartiere a rappresentare lo Stato, a rischio della propria vita. Perché, ammettiamolo, certe strade di Napoli sono frontiere, trincee. Con ferocia, negli ultimi anni si è diffusa una cultura giustificativa dell’illegalità, passata dagli adulti ai ragazzi come fosse un testimone di cui andare fieri: si costruiscono case senza permessi, si usano false assicurazioni dell’auto, si allunga con acqua la benzina nei distributori, si ignora il codice della strada usando sensi unici contromano, passando col rosso. E si getta la spazzatura ovunque, perché tanto che importa, la cosa di tutti è di nessuno. É questa insofferenza a controlli, regole, codici condivisi che mi fa paura, soprattutto perché la vedo permeare sempre più l’universo dei giovani, che da sempre, per energia e purezza, sogna e lotta per migliorare il mondo, non per peggiorarlo. 

Il 2014 ha inanellato con sconvolgente accelerazione morti e attacchi alle forze dell’ordine, uno degli ultimi quello in via dei Cimbri, nell’ex casbah della città, a fine giugno quando alcuni sicari hanno sparato a due agenti della sezione Falchi, dopo un folle inseguimento fra i vicoli di Forcella. Il 27 aprile a Maddaloni un carabiniere è stato ucciso mentre tentava di fermare una rapina in una gioielleria. I primi di gennaio, tre balordi si sono scagliati contro i poliziotti. Anche in questo caso la lista è lunga, inclemente. E spesso con minorenni coinvolti, perché gli under 18 “funzionano” meglio per spacciare droga o per atti di microcriminalità, perché per assoldarli è facile mostrare loro una vita dorata contro la durezza di certa quotidianità.

Come Garante per l'infanzia e l'adolescenza sono impegnato ogni giorno a ricordare che non ci possono essere concezioni diverse del ruolo di tutela dello Stato: condividere, accettare le regole è la base della convivenza civile, anche quando le regole non ci piacciono.

Occorrerebbe un nuovo patto fra adulti e ragazzi, che passi dalla scuola, dalle famiglie, dai centri ricreativi, dalle associazioni: un patto per crescere i nostri giovani col senso della legalità anzi con il bisogno della legalità. Dobbiamo parlare ai nostri bambini e ragazzi, dobbiamo ascoltarli, dare loro spazi e opportunità per crescere e vivere al meglio perché un tessuto sociale corrotto è il terreno ideale di coltura della criminalità.

Vincenzo Spadafora

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